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Roberto Giannuzzo – Valli del Natisone

INTERVISTATORE – Nome età e da dove viene.

ROBERTO GIANNUZZO – Wow, allora nome Roberto, cognome Giannuzzo. Sono un piemontese trapiantato in Friuli perché i miei genitori erano militari come me e quindi nel 50 son venuto qui. L’età: Quella che ho o quella che mi sento? Allora l”anagrafica è 80 quest’anno. Quella che mi sento, qualche cosa di meno quando mi sento bene. E niente, altro… cosa voleva sapere, chiedo scusa?

INTERVISTATORE – Quindi primi anni di vita, l’infanzia come l’ha passata?

ROBERTO GIANNUZZO – L’infanzia io l’ho passata a Udine nel 50. Dal 50 in poi. Perché mio papà… noi prima, siccome dopo il dopoguerra… io sono nato l’otto agosto del 43 e mio papà, che era appunto un militare di carriera, dopo, nel 45, è rientrato dalla prigionia. E naturalmente lo hanno mandato come primo reparto perché riformavano l’esercito, a Varazze. E dove si è ricostituito il battaglione trasmissioni. Siamo stati lì un certo periodo, non molto, dopodiché siamo venuti qui a Udine su Via Tricesimo, c’era a metà di Via Tricesimo c’era il comando della divisione di Mantova. E poi mio papà è andato a finire a Spaccamela, che era appunto il reparto della caserma delle trasmissioni. Io ragazzino ero più in caserma che a casa. Figlio di militari e quindi forse anche per quello che poi nello spirito ho scelto di fare, quella strada.

INTERVISTATORE – E che giochi si facevano in caserma?

ROBERTO GIANNUZZO – Allora veda, facciamo dei giochi, beh, i giochi. E allora… Io andavo in caserma e intanto ero un ascoltatore molto attento. C’erano gli ufficiali istruttori che spiegavano ai soldati su delle armi, delle cose, il funzionamento delle stazioni radio e io ascoltavo no? e poi, senza volerlo intervenivo e quelli si arrabbiavano, i soldati, perché vedi,(RIDE) lui lo sai e tu lo sai niente, allora mi dicevano vai via. E quindi cosa facevo? Lasciavo un po lì, andavo verso le 11 così, verso la cucina. Dove c’era un maresciallo, mi diceva: “hai fame?” Eh senti un profumino… “hai fame?”, figurati a quell’età se non c’avevo fame “sì, sì.” E insomma, facevo un pezzo di pane molto lungo, ci metteva ogni ben di Dio, prendevo quello e andavo al campo sportivo a guardare il gioco a pallone. E come giochi invece di compagni di infanzia un po tutti si faceva la lippa, che in italiano e in italiano si dice Lippa e in friulano si dice PINDUL-PANDUL, no? Eh spaccavamo tante vetrine, naturalmente accorciavamo i manici delle scope della nostra casa e dopodiché le buscavamo naturalmente. Ma valeva la pena! Quello era uno dei giochi che facevamo.

INTERVISTATORE – Come si faceva?

ROBERTO GIANNUZZO – Praticamente c’era questa lippa che era un pezzo di legno appuntito su entrambi i lati. E poi c’è un pezzo di bastone che praticamente serviva a far leva per battere e per poi lanciarlo, vinceva chi riusciva a lanciarlo nella direzione giusta e più lontano possibile. Non sempre andava lontano, qualche volta spaccava i vetri e mio papà me ne dava. Altri giochi…. Boh ce n’era tanti dal….Ecco per esempio noi non avevamo giocato lì come ora, quindi era un gioco di fantasia, di creatività, di manualità e per esempio facevamo il campionato del mondo con un gioco, mettevamo una coperta su una tavola e con dei tappi di bottiglie ,di cose. facevamo le formazioni di calcio. Dopodiché c’era il Meccano. Non so se ne avete… se esiste ancora. Era una costruzione che si avvita e facevamo questa porta dietro e poi facciamo un portiere che era pressappoco dell’altezza della larghezza della porta. C’è un piccolo spiraglio così sopra e la bravura è … appunto era di quello di infilare questo piccolo affarino tondo, (si chiamava gioco delle pulci quello) tra la traversa. Poi cosa facciamo? E quindi facciamo questi campionati.  Quello un’altro gioco che facciamo, poi giochi classici come tutti: nascondino, quattro cantoni, giochi più da maschi. 

INTERVISTATORE – Come si giocava a Quattro cantoni?

ROBERTO GIANNUZZO – Allora i quattro cantoni erano, se ricordo bene erano tre cantoni liberi e… no, non ricordo bene, chiedo scusa, non me lo ricordo più bene. C’erano quattro cantoni, uno al centro, uno di questi si spostava dei quattro e tu devi essere veloce, andare a occupare quel posto, se non riuscivi o riuscivi quello che ero uscito andava al centro e via così, finché il gioco non finiva. Altri giochi ce n’era un’infinità boh. Facevamo giochi coi soldatini, le biglie. Niente, mi ricordo in friulano, che dicevano: Se tu riuscivi, facevano la fila delle biglie, no?, Se tu riuscivi con la tua pallina a prendere il primo… la prima cosa ti dicevano subito in friulano, niente bon tutto. Cioè non potevi (RIDE) finiva che prendevi su tutto, poi si arrabbiavano e dovevi restituirgli tutta la roba che avevi preso. E questa è una delle tante cose… allora no, i soldatini, a dire la verità, erano i soldatini, se ricordo bene, di piombo. E facevamo delle dune… costruivamo delle zone di di battaglia, chiamiamole così, mettevamo questi soldatini sparsi qua e là e poi li bombardavano, quindi pezzi di qualcosa e vinceva quello che praticamente abbatteva più soldatini. E questo era un altro gioco che facevamo e poi non so faccia lei qualche domanda.

INTERVISTATORE – C’erano delle filastrocche delle canzoni che venivano dette o delle conte?

ROBERTO GIANNUZZO – C’erano delle conte ecco, adesso vediamo un qualcosa da associare alle conte. Ecco, un gioco che facevamo, era più però la società, cioè società intesa come gruppi di ragazzi e ragazze. E c’erano delle sedie, si faceva o con la musica o con una filastrocca, come dice lei, ci si spostava e nel momento in cui terminava la filastrocca, bisognava sedersi, chi rimaneva in piedi era penalizzato e naturalmente faceva la penitenze. Che erano dire-fare – baciare – lettera- testamento. (RIDE) Stranamente tutti andavano sul baciare, non si sa poi perché… Le penitenze: dire una qualcosa a una persona, un amico, una ragazza. E fare, fare un qualcosa. Baciare è palese. E poi cosa c’era? fare dire baciare lettera, lettera, testamento? Era la più brutta perché si girava la persona, ti giravano e ti scrivevano con un dito sulla schiena e poi… francobollo. Ti davano un gran bel pugno e un calcio nel sedere, per farti andare avanti. E quello era però già un gioco da adolescente…ah testamento…ah Dio non ricordo più, ragazzi sono passati ottant’anni. Eh no, quello non lo ricordo più.

E invece un altro gioco che facevamo già più da adolescenti, era quello di speedway che vedevamo al Moretti perché facevano delle gare con una motocicletta allora, loro. E facevano delle derapate, con queste… noi naturalmente il motorino non ce l’avevamo, avevamo biciclette e naturalmente facevamo fuori ogni volta un paio di scarpe. Partivo con le scarpe buone e tornavo con la suola.  allora cosa avevamo fatto per ovviare il problema, mettevamo un pezzo di lamierino sotto la suola, legato in modo tale che  almeno che non rovinavano le scarpe, questo era un’altro gioco. E poi? E poi un amico, per esempio, che aveva papà, che era fabbro, aveva fatto una macchina per modo di dire, l’intelaiatura coi pedali. E con quella giravamo in giro. Ecco poi mi son dato allo sport perché dopo naturalmente crescevo. Vuoi il pallone? ho giocato a pallone, ho fatto atletica, peso, martello, ho fatto judo, ho fatto un po tutti gli sport. E poi? Ecco.

INTERVISTATORE – E da bambini si andava in esplorazione da qualche parte?

ROBERTO GIANNUZZO – Allora da bambini, ecco giochi dimenticavo, era quello che le battaglie tra tra gruppi c’era un antagonismo tremendo, per cui cosa succedeva? Come non so se ha visto la battaglia di bottoni oppure altri film del genere. C’erano le bande, qua c’era anche qualche ragazza che era più motivata dai ragazzini…terribili e andavamo ad affrontare le altre cose, naturalmente cosa succedeva? Che una volta che riuscivamo ad andare da loro portavamo via prendevamo tutto quello che c’era da loro, cioè fionde e altre cose, eccetera. No?invece, quando andavo in vacanza facciamo un gioco un po più pericoloso. Quello non si dovrebbe fare. Siccome dove sono nato io. Dronero in provincia di Cuneo, dopo l’otto settembre, la gente, i soldati avevan buttate le armi un po’ dappertutto… L’han buttata in un pozzo e noi ragazzini cosa facevamo? Finché non se ne accorto il proprietario, andavamo giù con un pezzo di spago, un gancetto e tiravamo su. Venivano su bombe di mortaio o roba così e da disgraziati sa cosa facevamo? Mettevamo le bombe di mortaio nella morsa, poi le spolettevamo, per prendere la balistite che all’interno serviva a noi per fare i missili. Rubavamo le pompe delle biciclette, le svuotavano, mettevamo questa balestite, facevamo una piccola ogiva finale… poi davamo fuoco, il più delle volte scoppiavano. Qualche volta, andavano anche in alto. Insomma, questo è un’altro gioco che facevamo.

ROBERTO GIANNUZZO – Ecco l’esplorazione. Ma l’esplorazione me la ricordo e vi racconto un aneddoto che mi è successo, che a mio nipote quando era piccolino, raccontavo, ed era una verità, però un po’ forzata che io davo, appunto di queste scorribande nelle bande degli altri e avevo detto lui che dietro al mio paese c’è un castello, ci sono dei nobili che anche la regina di Inghilterra è andata a visitare. Noi non eravamo dietro, si chiamava dietro le mura. E naturalmente era pieno di sterpaglie, di cose e noi scendevamo e alle volte trovavamo anche qualche cosa di interessante. Io ho trovato delle delle once antiche, quelle per il peso, per pesare e quando appunto a mio nipote, raccontavo, facevo un pochino a mo’ di favola, dicevo che avevo trovato un bellissimo lago azzurro, per farlo dormire, e che naturalmente da dentro era uscita una fata da questa cosa. Quando poi ecco, tornando al presente, ho portato mio nipote, aveva 8 anni allora, a Dronero, mio nipote prima cosa mi ha detto: “Andiamo a vedere là” . Eh, andiamo a vedere là, giriamo, fa: “nonno ma dove sono?” io guardo: un campo da tennis, un campo da golf. Nonno ma non c’è’… Il mio paese era cambiato. Diciamo che la vecchia Dronero era rimasta ancora….qualcosa la nuova è cambiata, come tutte le città, naturalmente. Mi ha… il mio paese, è stato un paese molto martoriato, ma questo esco dal discorso, forse per il fatto della della guerra partigiana. Lì ci sono stati molti caduti, molte persone morte, difatti è stata anche premiata, è stata data fuoco, li hanno ucciso anche molta gente della cittadinanza, si sa, era la guerra.

Allora, veda. Io appena arrivato ho abitato in Via delle Acque. Ecco da Via delle Acque però eravamo in una stanza, avevamo rimediato… appunto nel 50, non c’erano ,vuoi, possibilità. Era difficile trovare degli appartamenti. Siamo stati lì un po. Poi siamo andati al mulino del bohème che è praticamente nella zona dove c’è via Riccardo di Giusto, ora mi sembra di ricordare. E c’era questo mulino. E anche lì ho avuto delle belle cose, c’era il mugnaio che quando c’era il periodo della caccia mi portava nella buca con lui mi diceva: “Guarda, fai attenzione a dove cadono gli uccellini che poi quando cadono vai a coglierli tu” e la sera ecco, mi chiamava, faceva una polenta, aveva un profumo quella polenta e mangiavano questi uccellini. Questo è un’altra cosa . Facevamo il bagno nelle rogge che erano pulite, non c’era nulla allora, si poteva anche bere…Poi dico il vero, la realtà friulana io la conoscevo poco, conoscevo conosco più, ecco potrei raccontare molto, ma torno a ripetere, fatto su ricordi d’infanzia il bombardamento che c’è stato al mio paese. Siamo rimasti sotto, io e mio nonno, siamo rimasti sotto una…è crollata una casa. La bomba ha colpito la casa. E tra l’altro io… qualcuno dice impossibile, eppure io ricordo benissimo la stanza in cui eravamo. E il fatto che io mi sono legato alla gamba di mio nonno per non farlo uscire, se lui usciva, moriva. Perché han centrato in pieno una fontana dove lui voleva andare a prendere l’acqua e dopo, naturalmente sono andati i miei genitori, mia mamma. E c’era un … ma non so se è bello dirlo, c’era un uomo, un pezzo di di uomo coperto. Lei pensava che fossi io. Volevo a tutti i costi vederlo e gli han detto guardi, no, non è un uomo, è una persona tranciata da una bomba. Poi finalmente mi ha visto uscire con… in braccio a mio nonno e così è finito.

Avevo dunque avevo un anno, neanche 43, così tre anni perché se nel 40 è iniziato la guerra. No, aspetta sì 43 e avevo poco. Però ricordo, è strano che io ricordi, poi naturalmente sono cose anche raccontate dai genitori dopo. Non tanto quello, ma altri episodi. Ma erano vede, legati più alla realtà di dove io vivevo. E qui invece io si ho avuto una bellissima amicizia e ho tuttora delle bellissime amicizie. Poi ho fatto un mestiere che era molto contatto con la gente. Io lavoravo a distretto di Udine, facevamo la riproduzione, il filmaggio di tutti i documenti militari, quindi i fogli matricolari della truppa degli ufficiali dei sottufficiali. Siamo partiti dal 1870, quindi dall’unità d’Italia. E fotografavamo in un gruppo di lavoro, fotografavamo, guardavamo questi carteggi ed erano molto interessanti. Solo non c’era il tempo materiale per soffermarsi a guardare quante belle…uno che ama la storia e ho visto delle bellissime cose, cartoline, lettere di persone che e quindi cosa facevamo? Microfilmavamo questi documenti, dopodiché avevamo delle signore che con con le nuove apparecchiature che inserivano nel computer dove erano questi soggetti, quando un civile veniva e ci chiedeva per esempio il foglio matricolare. Che serviva e serve tuttora per il ricongiungimento del periodo militare fatto per poi gli anziani, addirittura il riconoscimento delle campagne di guerra che davano titolo il vantaggio economico per la pensione e appunto visitavamo il nome della persona si vedeva dov’era la bobina, chiaramente era legata innanzitutto alla classe di appartenenza e poi alla posizione dove si trovava appunto il filmato. Introducevamo questi dati, facevamo correre il nastro, il microfilm, si fermava dove c’erano i documenti. Noi allora già avevamo iniziato anche…facevamo le fotocopie . Si firmava il documento, lo si consegnava alla persona e questo è uno dei lavori che ho fatto. È stato un bel lavoro. Poi succedeva tra l’altro che all’epoca… vuoi per la guerra, vuoi per altro, quello che normalmente viene fatto in tempo di pace, cioè le variazioni matricolari. Che cosa sono le variazioni matricolari? Sono sostanzialmente tutti gli avvenimenti che succedono, mentre uno è soldato, quindi: una ferita, una malattia, una prigionia, un trasferimento. Vengono trascritti sul foglio matricolare. Cosa succedeva? In tempo di guerra, certo non avevano tempo per fare questo lavoro, quindi nel quando siamo arrivati noi, già qui a Udine. Facevamo appunto, anche tra l’altro, nel matricole questo lavoro, venivano persone anche mi ricordo quando è stato concesso agli sloveni di potere, anche loro far parte di questo beneficio. E sono venute centinaia di persone, appunto, a chiederci questo lavoro. E poi era anche interessante, perché siccome nella fotografia si è passati da un tipo di di formato che era 24/36 ed era fatto in un certo modo al 16 mm, però io siccome avevo un pregresso. Molto spesso quelli anziani, anziani che non c’era niente, magari fogli matricolari, trovavo sui microfilm e molte volte abbiamo trovato delle cose ben più…che erano utili per riconoscimenti, appunto di una ferita di una cosa in guerra, quindi.  Altre cose che non siano militari, chiedo scusa, io parlo di quello, forse perché è una realtà che ho vissuto per tanti anni e mi ha dato anche delle soddisfazioni. Dico una delle tante soddisfazioni, il fatto che conosco mezza Udine, che mi capita spesso a passeggio, di incontrare… o più loro vedono me e dicono: “Eh, si ricorda? Che sono venuto, è stato gentile” e quello e per me è stato, è una bella cosa perché è un po’ un grazie. Che la gente ti dà, insomma.

Tornavo però tutte le estati al mio paese dove ero nato. Mia mamma mi portava su, c’erano, mi ricordo… bellissimo…le littorine si partiva da Udine e naturalmente fino… c’erano i vari… prima c’erano treni da Udine, si cambiava insieme a Milano. Se ricordo bene, poi da Milano arrivavamo al mio paese. No, arrivavamo… Oddio, a Torino e da Torino prendevamo la littorina allora, c’erano. E si andava e si arrivava appunto al mio paese nativo e lì c’era i miei zii e passavo bellissimi periodi. E in piemontese non non, non so perché, forse non eravamo cosi interessati alle…Non ho mai approfondito ecco quelli che erano…

INTERVISTATORE – E invece la dagli zii c’erano anche dei cugini o degli altri ragazzini, bambini?

ROBERTO GIANNUZZO – Allora ho dei miei cugini ancora che oggi ci sono, hanno la mia età veramente. I miei zii sono morti tutti purtroppo. Mio zio, i miei zii erano erano… sono stati fino a poco tempo fa dei… Costruivano salotti ed erano importanti. Ecco un’altra delle belle esperienze fatte che quando andavo in vacanza mio zio, quando caricava per esempio i mobili sul sul camion mi portava in giro con lui e un’altro aneddoto, ma ero già più adulto, che andavo a ballare. Mia zia non voleva e mi diceva: “se vai via ti chiudo fuori!”.  E io credevo che scherzasse, invece arrivavo a casa, e trovavo chiuso. I miei zii invece che erano più dalla mia parte, mi lasciavano la porta aperta perché mio zio tra l’altro veniva anche lui a ballare. E cosa faceva? Sono andato a dormire nella nella sala dove loro mettevano in mostra tutte queste cose al mattino mi sono svegliato. Che mi stavano portando gli operai a spasso per la fabbrica, era una bella fabbrica, grande. Tra l’altro gli operai fino a una certa ora rimanevano anche loro lì, quindi sapevano che a me piaceva. Ecco perché anche la mia passione è il ballo. Al di là del fatto che ho iniziato a ballare, che avrò avuto 10 anni perché noi al circolo sottufficiali facevamo addirittura i pomeriggi per i ragazzi e le serate alle quali mio papà, mia mamma, appassionati di ballo, ecco il perché mi piace ballare, mi portavano e io ero..ero da morir dal ridere perché piccolino così andavo a far ballare le signore. No? Mio padre mi insegnava: arrivi là batti i tacchi e dici al marito: “Posso ballare con la sua signora?” e lui mi diceva, il marito: “Uaglio’ comportati bene”. (RIDE) Immagini appigliare arrivavo qui, però ballavo tutti validi e invece vedi. Poi da anziano ho imparato anche balli nuovi come stiamo facendo adesso. Qui ho trovato un bellissimo gruppo. E finché posso ballo oggi son andato dal medico, mi ha detto: Bon bon va bene, mi ha detto, Ma non è che mi neghi di andare a ballare? Guarda che mi….no no, vai, vai a ballare che ti fa bene, tra palestra e ballo tu tieni in salute e così vengo volentieri.

INTERVISTATORE – Il progetto per cui stiamo facendo queste interviste si chiama SEME e allora chiediamo a tutti di Lasciare un seme metaforico che poi germoglierà in futuro come una speranza che possa…

ROBERTO GIANNUZZO – Questi nuovi ragazzi trovino. Allora vedete, io faccio una piccola escursione su questo argomento, cioè oggi, purtroppo secondo me i giovani…Ma non per loro colpa… Tendono più ad apparire che essere, ma non è colpa loro. Cioè, non ci sono più quei grandi valori che ai miei tempi, anche perché più uno dei valori è appunto della famiglia. Ma anche lì c’è da dire qualcuno dice: “Eh, ma perché non vi sposate?” Come si fa a sposarsi? Io mi sono sposato quando sono stato in grado di mantenere una famiglia. Oggi un uomo, un ragazzo che ha prospettive di di carriera o di lavoro relative perché gli danno… perdonatemi la franchezza, quattro soldi? Pretendono che si sposino, facciano figli. Facessero qualcosa di più per i giovani e quindi ecco, chiudendo la parentesi, io dico, vorrei che i giovani oggi rispetto a noi avessero qualcosa di più, ma ecco, avranno qualcosa di meno. Noi, per esempio, se avevamo una valuta di lavorare, lavoravamo. Ecco auguro che questi giovani trovino lavoro e siano valorizzati per quello che meritano. E questo… penso, l’augurio che io faccio ai nuovi giovani, tra l’altro ho anche un nipote che è all’università…  quindi anche per lui spero e che non sia costretto ad andare all’estero come succede, che rimanga in Italia. Vi ringrazio.

Se.Me.
Sentieri della memoria

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