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Sergio Celotto – Cordenons

SERGIO CELOTTO – Allora io mi chiamo Sergio Celotto, ho 86 anni abbondanti. E vengo dalla bassa friulana, dalla bassa pordenonese, da Morsano al Tagliamento. L’ultima casa della regione prima della provincia di Venezia. Nato e cresciuto in giro per il mondo. Cresciuto lì, ma poi a scuola Pordenone poi. Eh militare, poi Valle d’Aosta, poi Svizzera, poi. Elettro Lux, poi sindacalista a tempo pieno.

INTERVISTATORE – Come si passava il tempo da piccoli?

SERGIO CELOTTO – Allora, Eh?  Il tempo da piccoli era venendo io da una famiglia di contadini. Il tempo da piccoli era a disposizione solamente quando i genitori lo consentivano. A partire dalla giovanissima età. Qualsiasi cosa o un bambino era in grado di fare, doveva dare una mano.

In famiglia. Il tempo libero  Consisteva a seconda delle stagioni o nell’essere esterno o interno, ma soprattutto esterno alla casa. E sostanzialmente i giochi erano sempre quelli, poi non è che c’era a disposizione… La giostra al giorno della sagra ma… I giochi individuali o di gruppo, soprattutto di gruppo, erano sostanzialmente pochi.

Eh? Traducendoli con i nomi Correnti…  

INTERVISTATORE – Anche il nome di una volta va benissimo…

SERGIO CELOTTO – …il gioco della Mussa. Era il gioco più Comune di gruppo, il gioco delle biglie, le palline. A nascondino.

Il gioco della bandiera che ha sostanzialmente è un gioco di squadra che veniva fatto sostanzialmente a scuola, poi. Per cui si dividevano le squadre, c’era la maestra che teneva la bandierina che arrivava in minor tempo… il pallone, quando il pallone non c’era. Perché il pallone era fatto sostanzialmente da vecchi stracci.

E da una vecchissima camera d’aria tagliata a elastico. E poi gli elastici venivano… La palla di vecchi stracci veniva, con più elastici, fatta diventare un pallone che non non rimbalzava. Per terra. Si tirava di qua, di là, non rimbalzava granché. Era già un bene che fosse giocabile.

Il gioco della campana. Ho visto che qui non era molto diffuso, anzi a mia memoria, per niente nella bassa friulana. Veniva, era più diffuso, diciamo Nei grossi centri, sanvitese,  Pordenonese, presumo. Io sono arrivato a Pordenone  In tarda età. Tarda…  Dopo i 20.

Tarda rispetto alla nascita, io sono nato prima della guerra, quindi sono stato, noi, quelli della mia età sono stati condizionati particolarmente dalla guerra. E nel loro tempo libero, non allontanarsi da casa, non cioè… Per cui i gruppi di famiglie svolgevano questi giochi. La fionda era d’obbligo. Ricordo che ci è stata sequestrata con grande dispiacere dal maestro.

Per cui poi, divieto di, divieto di rompere vetri a scuola.

INTERVISTATORE – E come veniva fatta la fionda?

SERGIO CELOTTO – La fionda veniva fatta sostanzialmente con degli con dei rami biforcuti. E debitamente secchi eccetera.  E in questo ramo venivano legati degli elastici.  E in fondo all’elastico c’era il contenitore dei sassi, o dei pallini ma i pallini li avevano i figli di papà.

INTERVISTATORE – Di che cosa era fatto il contenitore?

SERGIO CELOTTO – Il contenitore era mediamente di cuoio vecchio, di di…i comunque di una di una stoffa rigida  che consentisse di essere poi lanciata  E L’obiettivo era sempre il più individuabile possibile, ma il più difficile da raggiungere. Da noi, il campanile era piuttosto basso e quindi una delle mire era la campane.  Che poi  dal timbro del suono non si capiva se era centrata la prima e la seconda  O niente. E.

INTERVISTATORE – posso chiedere come si giocava a mussa?

SERGIO CELOTTO – Alla mussa era un gioco sostanzialmente fatto da un gruppo di ragazzi, il primo si appoggiava al palo, a un palo e gli altri due o tre o quattro si inclinavano. E poi c’era chi prendeva la corsa e chi saltava il più vicino possibile a quello del palo era il vincitore. Si chiamava la mussa, veniva praticato un po’ dappertutto, insomma.

INTERVISTATORE – E lo facevano solo i maschi o maschi e femmine?

SERGIO CELOTTO – Mediamente era un gioco maschile, perché….  Perché era un gioco maschile, un gioco di… di forza, di peso, di sopportare il peso.

INTERVISTATORE – E invece a biglie come si giocava?

SERGIO CELOTTO – A biglie si giocava per terra con queste biglie che erano fatte di terracotta e colorate con dimensioni diversa. Bisognava centrare il pallino.  Era un gioco In mini delle bocce attuali.

INTERVISTATORE – Ma queste biglie di terracotta erano comperate?

SERGIO CELOTTO – Sì venivano comprati ovviamente da negozio del paese, che chiamiamola cartoleria  Che vendeva poi quaderni, matite, gomme, quella cosa lì, cosa di cui bisognava essere particolarmente attenti stante le condizioni finanziarie in cui i ragazzi, come dire, avevano la disponibilità, cioè niente.

Un’altro gioco era quello delle freccette. Individuato un albero, individuato una porta vecchia, individuato un obiettivo,  quell’obiettivo poi con delle freccette di legno.  No?  Con la punta, poi si trovava di Il modo di costruire le frecce.  Qualcuno ha aiutato,  Appuntito… E venivano lanciate con dei… c’erano dei…era come adesso, solo che le frecce adesso sono come dire, industrializzate. Peso, misura colore.

No quelle si facevano, ma non… Ci facevano con pezzi di legno, con pezzi di tavola. E i più in i più ingegnosi…I più fortunati avevano qualche familiare che faceva il falegname.  Perché nelle famiglie  contadine  tra tutti i familiari facevano quasi tutto in famiglia. Chi faceva un po ‘il falegname, chi faceva i cesti,  chi faceva le sedie, cioè la famiglia  autoproduceva le necessità principali d’uso comune. D’inverno il divertimento più comune era slittare.  Avendo gli zoccoli con le brocche fatte a cuneo…canali, non mancavano i fossi, non mancavano, qualche volta si finiva annacquati.  Quando il ghiaccio diventava un po più leggero.  Successo anche a me, Eh…  di finire annacquato e di essere compensato abbondantemente da mia madre avendo riscaldato la faccia, il sedere con le mani.  Erano i droni di una volta.  Scappellotti da chilo. E un altro dei giochi, era quello del mattone.  I mattoni, venivano messi dei mattoni In fila, a debita distanza e poi con sassi il più possibile uguali venivano lanciati e quindi ogni mattone che cadeva faceva il morto, più morti si facevano e più punti si avevano per stabilire chi aveva vinto.

I mattoni erano messi in piedi tu tiravi il sasso.  Se centravi il mattone il mattone cadeva.  E quindi avrei fatto un punto.  Il premio era la soddisfazione di avere più mira di un altro.  No? Ovviamente questi giochi avvenivano nei cortili quando i ragazzi di più famiglie si trovavano.  Perché poi si trovavano per la strada per andare a scuola.  Per la strada per andare al catechismo, per la strada per trovare le altre famiglie vicine. 

Un’altro gioco era quello del – Io qui non so come si chiamasse, da noi, si chiamava cibè.  Cibè era un pezzo di legno a doppio cono.  A doppia punta, che veniva debitamente appoggiato in un posto

E gli altri erano in coda chi lo prendeva  aveva vinto e quindi partiva lui a tirare. Più tiravi lontano sei sempre in compagnia, questo è un gioco di squadra. Era questo pezzo di legno fatto a bicono.  Per cui veniva con un’altro mazza, un’altro pezzo di legno.  Veniva battuto.  Andava lontano il più lontano possibile.

E quindi veniva poi che lo che lo prendeva al volo aveva vinto, altrimenti vinceva chi batteva. Era sempre una questione di punti. Il premio era Io sono più bravo di te.

INTERVISTATORE – E come funzionavano i punti?

SERGIO CELOTTO – Ma un punto 2 volte, 3 volte. Io ho preso tre volte, tu quattro, lui due.  Alla fine il più bravo era quello che aveva la soddisfazione di essere il più bravo.

INTERVISTATORE – Perché succedeva anche che uno batteva, ma questo non volava.

SERGIO CELOTTO – Si, magari batteva male, ma batteva troppo, troppo in mezzo, troppo…  Erano sempre giochi molto elementari, no?  Ma che servivano a far passare il tempo libero che c’era, perché  Durante la guerra si andava a scuola di mattina, di pomeriggio. Una settimana di mattina, una settimana di pomeriggio. Poi, ovvio, intanto si interrompevano, poi un anno Benito ha pensato bene di  far bocciare tutti perché sembrava poco a scuola, qualche bombardamento, qualche , poi nel mio paese c’è stato anche un bombardamento  per cui mi è mancato anche il mio compagno di banco – Bambino del  44, quindi 8 anni. E quindi i divertimenti erano sostanzialmente legati al tempo libero  E al tempo stagionale. Per cui d’inverno i giochi avvenivano con le carte.  Con le carte vecchie degli adulti, quelli che non usavano più, una specie di domino.

Una specie di…Poi c’era la Mosca cieca.

INTERVISTATORE – Come si giocava a mosca cieca?

SERGIO CELOTTO – Mosca cieca, si metteva un bendato. Questo coinvolgeva maschi e femmine.  Veniva uno bendato.  E poi doveva indovinare chi lo toccava, chi lo spingeva. Per cui conoscendosi quasi tutti, bisognava andare a intuizione, insomma: mi ha spinto forte, spingere quello lì, è una bambina,  Quello lì… Cioè finché poi si indovinava, quindi cambiava la Mosca cieca, cambiava il bendato o la bendata e continuava il gioco che poi durava qualche una mezz’ora, un’ora al massimo, perché poi il tempo era sostanzialmente ristretto…E d’inverno la sera nella stalla,  la cosa ha funzionato fino a fine anni 50,  venivano sostanzialmente gestiti senza disturbare gli adulti. Che avevano il loro gioco delle carte, i maschi. Le femmine dovevano pensare a costruirsi il corredo.  E quindi non avevano…Quindi si giocava o a carte con le carte vecchie, o a indovinare nomi o un po’ di inventiva…

INTERVISTATORE – Venivano raccontate storie.

SERGIO CELOTTO  Le storie venivano raccontate sempre, quasi sempre, d’inverno. O c’era qualcuno che leggeva qualche libro che secondo me, almeno la ventesima volta che veniva a letto no, oppure venivano raccontate storie.  Qualche, molto spesso, storie un po’ macabre per mettere un po’ di sano…ritegno tra i bambini per cui non … C’erano sempre, come dire? Questo era dovuto anche un po’… Senza, senza sarcasmo, era dovuto al fatto che gli anziani morivano a casa, quindi i bambini diciamo che avevano una confidenza con la morte diretta, perché: mio, nonno, io l’ho visto morire. Mia nonna non proprio in camera, ma un momento dopo, insomma. Ma poi il funerale. Queste tradizioni  che  sono andate avanti fino agli anni 2000 sostanzialmente…

Questo bel fatto che si moriva a casa.  Contrariamente adesso che i bambini non sanno neanche cos’è la morte, non sanno neanche cos’è la sofferenza, perché appena uno sta male lo porta in ospedale.  E dopo lo trovano davanti alla porta della Chiesa, già bello che impacchettato, no? Si, no, non c’è più il rapporto diretto.  Che c’era, che consiste…  che veniva considerato il trascorrere della vita.  Attualmente non c’è più.  Attualmente.  Si è tutti belli i giovani pimpanti, ben vestiti, ben rasati, ben rapati… si comprano i pantaloni nuovi per renderli vecchi tagliandoli.  No?  A me, quando ero piccolo mi mettevano su una pezza quando c’era un, quando era strappato il pantalone.  Adesso bisogna comprarli buoni per renderli vecchi, altrimenti non sono nuovi. C’è un po un rovesciamento della situazione.

INTERVISTATORE – Ma c’è una storia che si ricorda dall’inizo alla fine di quelle che venivano raccontate.

SERGIO CELOTTO – Casa mia diciamo che venivano raccontate storie che erano legate a fatti avvenuti nel paese, ma anche qua eh, paese di emigrazione, migranti che ritornavano. Oppure emigranti che.  da noi era abbastanza, io l’ho messo anche per iscritto in un libro che ho scritto:  Da povero a libero. Una vita, un impegno. 

E… era quella di un uomo.  Che andavano a lavorare.  Là per le Germanie, che poi era un posto un po’ indefinito.  No? In Carnia dicevano: “tal forèst”.

E… il quale, tornando a casa a fine stagione… è rimasta incinta la fidanzata, aveva un matrimonio rapido.  Perché poi bisognava ripartire verso KennySberg che era la capitale della Prussia.  Attualmente è un angolo dell’Unione sovietica rispetto alla Lituania. Intanto, con il compare intanto che preparavano la cena è andato fuori a comprare il tabacco.  Che ha trovato il caposquadra, il capo che guidava la la squadra che dovevano ripartire dice: “Tony, non vieni via quest’anno?”  “Si, quando andiamo via?” “Eh, stiamo andando via adesso” per…. Andavano via la sera perché andavano a prendere il treno a Pontebba, che era Pontebba, era sotto l’Austria, quindi li passava già il treno che andava a Trieste,  Udine e Trieste. Questo succedeva al 1914. È tornato a casa la prima volta nel 1948. E’ venuto a casa…lui  è venuto a casa che era nonno, questo vecchio io l’ho conosciuto, Eh questo.  l’ho conosciuto lui, sua moglie, il figlio. E questo veniva raccontato, ma io poi l’ho visto, ho vissuto quando , quando uno faceva tardi dicevano che” non farà mia come a Toni?”

Che è arrivato a casa dopo quarant’anni, dopo 36 anni che era in giro per il mondo. E questo… poi raccontavano sempre di morti che li vedevano di notte che giravano.  Ai santi. Poi io che ero nato il giorno, io sono nato nel giorno dei morti, quindi mi mettevo ancora più soggezione, no? Questo parlare continuamente di morti di che tiravano per la giacca. I bambini altamente influenzabili, no?

E quindi? Poi c’erano queste strane, non strane, queste storie di quelli che andavano via,per le Germanie  che era un posto indefinito, al di là delle Alpi. No? a Lisingpon, questo dicono qua no? Comunque è un posto un po ‘indefinito, insomma, mediamente andava dall’Ungheria  Alla Polonia.  Poco sì, sì, lì insomma no.  Dividevano un po ‘a spanne. E poi c’erano i Bintars. I bintars che non è una parola… che non vuol dire niente in sé.  E sta per “Winter” tedesco.

E erano quelli che andavano via in primavera e tornavano a casa in autunno. E quindi ”gli inverni, quelli che facevano l’inverno” no? A San Daniele c’è anche una nota trattoria che si chiama i bintars. Che erano questi che tornavano a casa all’autunno. E tornavano via in primavera. E poi c’erano quelli che io ho conosciuto. Che si erano persi là per le Americhe.  Che era un’altro posto un po’ indefinito, le Americhe, sostanzialmente era l’Argentina. Tra la prima e la Seconda guerra mondiale o. Che mediamente se passavano più di sei mesi senza ricevere posta  “E perso là per le Americhe. Qualche volta era talmente perso che poi  C’era chi veniva a cercare  la moglie del papà.

INTERVISTATORE – E c’erano dei posti dove da bambini, da ragazzini mi piaceva andare o dei posti?

SERGIO CELOTTO – Allora noi…

INTERVISTATORE – Anche per delle cose che erano successe in quel posto lì, in quel posto là…

SERGIO CELOTTO – Da noi no, da noi c’era da noi eh qui anche. Ma si chiama un altro modo. C’era il Tagliamento  che veniva usato da giugno a settembre per andare a nuotare perché era la spiaggia più vicina. Qui il Meduna. E gli altri luoghi erano erano lì attorno alla Chiesa che c’era il sagrato, che era un posto di ritrovo  per giocare anche  al di fuori della cerchia di famiglia, delle famiglie. Per cui si ritrovava tra quelli che andavano a scuola o tra quelli che andavano  a catechismo tra quelli che andavano all’asilo. Perché l’asilo era  frequentato da quasi tutti i bambini negli ultimi due anni, prima di andare a scuola.  Quasi tutti frequentavano l’asilo  del paese. Però io non ho un luogo definito al di fuori, è ovvio che…per tirare alle campane, bisognava, con la fionda, bisognava essere vicini al campanile, ma faceva parte dello spazio che adesso non c’è più, che si chiamava sagrato.  Che era il posto dove ci si trovava.

INTERVISTATORE – E invece per andare a pattinare nei fossi c’era ….

SERGIO CELOTTO – Personalmente noi avevamo un canale.

INTERVISTATORE – Come si chiama?

SERGIO CELOTTO – Al canal!  C’è n’era uno solo, era questo grande canale è un canale No, era un canale che nasceva proprio lì, dalle risorgive  e che serviva poi da incanalare nella arrivava fino a… fino vicino bibione.  Dove veniva, serviva quando hanno bonificato i terreni, a incanalare l’acqua. E il resto erano altri fossi altri. No? Ma quello era il  canale che… Oppure c’era il vado, un’altro canale che serviva anche quello debitamente d’inverno, fare qualche tuffo fuori stagione, quando si rompeva il ghiaccio.

INTERVISTATORE – Ma se andava anche d’estate lì a fare il bagno?

SERGIO CELOTTO – si beh è chiaro, un metro e mezzo di acqua.  È stato un po’ il mio… quello che mi ha sempre condizionato nel rapporto con l’acqua, eh.  Perché quando cadi dentro hai la sensazione di no, non cercata, no? Quindi hai… ti dà sempre la sensazione di di…  Io ho mai nella mia vita non ho mai messo volontariamente la testa sott’acqua. Quarant’anni che vado a Bibione, ma la testa sott’acqua…Manco se mi pagano.

INTERVISTATORE – Niente tuffi allora.

SERGIO CELOTTO – No, i miei figli sono tutti…come come anguille, ma…  Bastan pochi per famiglia.

INTERVISTATORE – Allora, ultimissima domanda.  Così anche dico…Il progetto per cui stiamo facendo queste interviste si chiama SEME. (risate sul gioco di parole Seme-Scemi)

Speriamo di non essere proprio semi.

SERGIO CELOTTO – No, ci manca, ci manca la c.

INTERVISTATORE – Ci piacerebbe che ognuno lasciasse metaforicamente.  Un.  piccolo seme  da mettere sottoterra, che poi un giorno germoglierà. Una speranza per il futuro, un piccolo pensiero per le nuove generazioni, per quello che potrebbe essere.

SERGIO CELOTTO – Allora secondo me, faccio una battuta: finché il telefono era attaccato al filo, comandava l’uomo.  Da quando il telefono funziona senza il filo comanda il telefono.  Nel senso che prima c’era l’obbligo della socialità.  Dei ragazzi, dei e anche degli adulti, ma sopra partendo dai ragazzi.  Proprio i genitori invogliavano alla socialità, ai figli, al fare gruppo. Perché era l’unico modo per divertirsi alla buona, alla povera, alla locale, ma era l’unico modo in cui si potevano fare dei momenti di aggregazione facendo giochi di squadra. Perché da quando si è staccato il filo dal telefono non esistono più, esistono i giochi di squadra ma debitamente organizzati, debitamente finalizzati, debitamente limitati nel tempo. Per cui vai ad allenarti, ma fai svelto a sgombrare la pista perché c’è un altro gruppo che deve fare un’altra cosa.  Cose che non…ai nostri tempi se tu avevi voglia di stare insieme, si stava insieme finché non c’era un fischio particolare, un urlo particolare, una chiamata particolare che significava che era ora di cambiare la musica.

Per cui secondo me il  tempo che abbiamo passato, non dico quelli della mia età, che purtroppo stanno sempre più diradandosi. Ma anche quelli, diciamo fino agli anni 70.  Il tempo dei bambini era dei anche dei ragazzi, era un tempo libero a loro disposizione e a loro organizzazione. Da quel periodo, anno più anno meno… da quel periodo in poi il tempo a disposizione dei bambini e dei ragazzi è diventato un tempo organizzato. Per cui hanno perso la libertà di – io vedo i miei nipoti e pronipoti  pronipote – Che è ora, è sempre ora. Ma noi i più fortunati in regalo ricevevano il giorno della Cresima il primo orologio.  Per cui fino a quella volta il tempo era dato dagli ordini di famiglia e dalla stagionalità. Dopodiché dipendeva dalla capacità di auto organizzarsi di ogni gruppo più o meno omogeneo. Che consentiva di trascorrere il tempo Libero.

Poi sai, nelle famiglie dei contadini il tempo libero era scandito anche  dal lavoro lavori leggeri, ovviamente più o meno leggeri, ma che ti occupavano gran parte del tuo tempo libero. E siccome la nostra società era una società organizzata in termini agresti.  Per nostra fortuna non abbiamo dovuto vivere in in condominio. Inscatolati, no.  Almeno io personalmente.  Non ho mai vissuto in condominio.  Il condominio più grande è stato in Svizzera.  In una casa tre piani e io abitavo al primo.  Quello è stato per mia fortuna, eh.  Perché la mia immaginazione non arriva…  La prima cosa che ho fatto appena arrivato sulla (fermo, no, sì,) la prima cosa che ho fatto quando sono arrivato sulle Torri gemelle a New York  è stata quella di andare a cercare… ho fatto un giro  della terrazza.  È stata quella di andare a chiedere al barista, dove era la scala? Perché non avevo visto, non c’erano scale esterne, a chiedere dov’era la scala?  Mi ha detto dov’era, ho guadagnato subito l’ascensore, ho detto a chi era con me, moglie e cognati eccetera tutto, io vi vi aspetto a basso che non è il caso di stare All’ottantaquattresimo piano. Si può vivere anche coi piedi per terra, a questo mondo? Io so che per il mio lavoro, quando dovevo anche andare spesso in giro  No, soprattutto a Roma  e la mia preoccupazione era avere  sempre lo stesso albergo per avere garantito… quando andava male il secondo piano.

Io, mia nipote, io, mia nipote che abita io ho mia nipote che abita in fondo a questa strada. Sarà un mese e mezzo che non la vedo. Due no che lei lavora Da un’altra parte non ha tempo, il marito suo lavora da un’altra parte S e succedeva una volta, ti dicevano sì.

E adesso invece?  Però.  Non ho rimpianti.  Ogni tanto. (È spento?) 

Ogni tanto dico, pensa la fortuna che abbiamo avuto molti di noi, no rispetto a Berlusconi Che ha dovuto perdere tanto tempo a contare i soldi. Noi non abbiamo avuto, non abbiamo perso tempo tranquilli, tranquilli, no? Vedi, adesso io ho preso un impegno, ma non so se lui lo rispetterà.

Sì, di morire al giorno che tagliano il nastro per l’inaugurazione del ponte sullo Stretto. Sì, quindi mi son dato un po’ di tempo per continuare a disturbare l’anteas, io spero che scada che cada durante l’inaugurazione no, perché no? Io mi sto… io che resti il ponte e io mi tolgo dai piedi.

Se.Me.
Sentieri della memoria

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